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Lettera a Magnus Wedderkopf

Maggio 1671
A II 1, 185-187

Wedderkopf, giurista tedesco, aveva richiesto a Leibniz in una lettera dell’aprile: “Mi farai cosa gratissima se, lasciandotene il tempo le tue incombenze, mi spiegherai più ampiamente quali libri scritti sul fato ti siano noti e quale sia la tua opinione” (A I 1, 137).

Il Fato è il Decreto di Dio, o la necessità degli eventi. Fatali sono quelle cose che accadranno necessariamente. Dilemma difficile: o Dio non decreta su tutto, oppure, se decreta su tutto, è assolutamente autore di tutto. Infatti, se decreta su tutto e le cose divergono dal decreto, non sarà onnipotente. Se invece non decreta su tutto, sembra conseguirne che non sia onnisciente: sembra infatti impossibile che l’onnisciente sospenda il proprio giudizio su qualche cosa. Quando noi sospendiamo i nostri giudizi, ciò è dovuto all’ignoranza. Ne segue che Dio non può mai porsi in modo puramente permissivo. Ne segue anche che nessun decreto di Dio è veramente non assoluto. Noi infatti facciamo dipendere i nostri giudizi da condizioni e alternative, perché abbiamo esplorato in misura minima le circostanze delle cose.

È duro da accettare? Lo ammetto. Che dunque? Ecco Pilato dannato. Perché? Perché manca di fede. E perché ne manca? perché mancò della volontà d’applicazione. Perché questo? perché non comprese la necessità della cosa e l’utilità di applicarsi. Perché non la comprese? perché mancarono le cause della comprensione. Tutto, dunque, deve necessariamente risolversi in qualche ragione, né può sussistere, sinché non si pervenga alla prima ragione; oppure bisogna ammettere che qualcosa possa esistere senza una sufficiente ragione di esistenza, il che ammesso, sarà annullata la dimostrazione dell’esistenza di Dio e di molti teoremi filosofici.

Qual è dunque la ragione ultima della volontà divina? L’intelletto divino. Dio vuole infatti le cose che intende che sono ottime, nonché più armoniche, e si può dire che le trasceglie dal numero infinito di tutti i possibili. Qual è dunque la ragione ultima dell’intelletto divino? L’armonia delle cose. E dell’armonia delle cose? Nulla. Per esempio, del fatto che il rapporto di 2 a 4 è lo stesso di 4 a 8 non si può dare nessuna ragione, neppure in base alla volontà divina. Ciò dipende dalla stessa Essenza, o Idea, delle cose. Le essenze delle cose sono proprio come i numeri1) e contengono la possibilità stessa degli Enti, possibilità che non è fatta da Dio, mentre lo è l’esistenza: piuttosto, le possibilità stesse o Idee delle cose coincidono con Dio stesso. Poiché però Dio è la mente perfettissima, è impossibile che egli non sia motivato dalla perfettissima armonia e così è necessitato dalla stessa idealità delle cose all’ottimo. Il che non toglie nulla alla libertà. La suprema libertà, infatti, è essere costretti dalla retta ragione a [scegliere] l’ottimo e chi desidera una libertà diversa è uno stolto. Ne segue che qualunque cosa sia stata fatta, si faccia o si farà, è necessaria, ma, come ho detto, di una necessità che nulla toglie alla libertà, in quanto non toglie nulla alla volontà e all’uso della ragione. In nessuno vi è il potere di volere ciò che vuole, se anche a volte può ciò che vuole. Anzi, nessuno sceglie per sé la libertà di volere ciò che vuole, bensì, piuttosto, di volere ciò che è ottimo. Perché dunque vogliamo assegnare a Dio ciò che noi stessi non scegliamo? Da ciò risulta chiaro che una qualche volontà assoluta non dipendente dalla bontà delle cose sarebbe mostruosa, mentre al contrario nell’onnisciente non vi è nessuna volontà permissiva, se non in quanto Dio si conforma alla stessa idealità ovvero ottimalità delle cose.

Nulla dunque va considerato un male assolutamente: Dio, altrimenti, o non sarebbe sommamente sapiente, così da accorgersene, o non sarebbe sommamente potente, così da rimuoverlo. Non dubito che tale fosse l’opinione di Agostino. I peccati sono mali non assolutamente, non per il mondo, non per Dio, altrimenti non li permetterebbe, ma per colui che pecca. Dio odia i peccati, non perché non possa sopportarne la vista, come noi delle cose che detestiamo, altrimenti li eliminerebbe, ma perché li punisce. I peccati sono buoni, cioè armonici, presi insieme con la pena e l’espiazione. Non vi è armonia, infatti, se non [nasce] dai contrari. Ma queste cose le ho scritte per te: non vorrei proprio che venissero diffuse, perché neppure le cose più giuste sono comprensibili per chiunque.2)

trad. ep 2011 LLab

1) Sentenza aristotelica; cfr. “Le essenze delle cose sono come i numeri e non vi sono due numeri uguali”, Met. 8, 3, 1043b32-1044a2.
2) Leibniz ha aggiunto in seguito: Ho poi corretto queste dottrine. Altro infatti è che i peccati avvengano infallibilmente, altro che avvengano necessariamente.
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